La prova di martedì scorso non è stata semplicemente una prova “sì”, è stata una prova straordinariamente particolare, una di quelle praticamente impossibili da dimenticare: eravamo alle prese con Libertango, un brano ed un’armonizzazione di una complessità tale da toccare il limite delle possibilità del coro attuale, di fronte alla quale in passato ci si è dovuti arrendere; oggi no, oggi il coro è più che mai determinato ad arrivare alla fine, ad inserirlo nel repertorio ed eseguirlo in pubblico, una rivincita riparatrice per una storica sconfitta che ancora oggi duole a qualcuno - la richiesta è venuta direttamente dai coristi, quei coristi che durante le prove sono quindi particolarmente attenti e concentrati - ecco che mentre iniziamo, tenendo le note lunghe e cercando l’intonazione perfetta sui passaggi più difficili lei, la nota che non c’è si fa sentire.
Tutti sanno che in determinate condizioni può capitare di sentire note “aggiuntive”, effetto di sommatorie armoniche qualora i reparti siano sufficientemente intonati, ma quella nota aggiunta non solo c’era, ma si ripresentava continuamente, seguiva l’andamento musicale ed era sempre quella corretta, quella che avrebbe dovuto cantare il reparto a cui avevo detto di stare in silenzio per riuscire ad intonare meglio gli altri; ho controllato personalmente, incredulo, la bocca serrata di tutti i coristi nel reparto, eppure lei c’era e ci accompagnava continuamente - era la nota che mancava per chiudere le sequenze di accordi scritti da Piazzolla e che Elio ha fedelmente riportato nella sua armonizzazione: quella nota era stata prevista ed indicata sulla partitura – quella stessa nota si percepiva anche se non era cantata da nessuno.
Ho iniziato mandando un ringraziamento a Fourier, Pitagora, Zarlino, Galilei, Bach e compagnia cantante (questa me la potevo risparmiare) per i loro studi e per avere in qualche modo spiegato l’origine di tali fenomeni, ma non avrei mai pensato di poterne vivere uno così intenso e prolungato nel tempo.
Stupefatto ed eccitato come un bambino davanti al regalo dei suoi sogni, per più di un quarto d’ora ho goduto di un coro che continuava a cantare a tre voci emettendone quattro, la quarta era percepibile quasi come le altre al punto che ho potuto far avvicendare diversi coristi al mio fianco per permettere loro di sentire meglio ciò che stava accadendo: persino chi canta “per hobby” e non “per passione” è rimasto a bocca aperta nell’ascoltare ciò che non avrebbe dovuto sentire. Non ho registrato, perché non c’era tempo, perché non volevo interrompere quel momento di concentrazione straordinaria, perché non ero sicuro che sarebbe stata una registrazione fedele e forse perché è giusto che certi momenti restino di proprietà di chi li ha prodotti e vissuti; con me porto un viaggio di ritorno a casa fatto di gioia, di emozioni, di un sorriso stampato in viso nonostante la stanchezza, unitamente al senso di profonda gratitudine nei confronti dei coristi che dirigo e la consapevolezza di quanto sia bello e quanto sia un privilegio cantare in un coro.